lunedì 6 febbraio 2017

Non sento niente.

Ho voglia di scrivere solo a te ultimamente. 
Non è vero, non illuderti. 
Ho solo pensato che iniziare a scrivere 
col pretesto di scrivere proprio 
a te 
avrebbe facilitato le cose. 
Non dormo tanto bene ultimamente. 
e tu non ne sei la causa 
ma vorrei che lo fossi 
perché sarebbe tutto più facile. 
Saprei cosa significa provare qualcosa. 
Non scrivo, non mangio, non dormo 
non sento niente 
e non lo dico tanto per dire. 
Io mi sono persa, e credevo di averlo fatto nei tuoi occhi 
ma evidentemente non è così 
perdendo me, ho perso un po’ anche a te 
Non riesco a parlare, a piangere, non riesco. 
Mi preoccupa, si 
perché senza emozioni non sono in grado di prendermi le mie responsabilità 
riesco a fare una sola cosa io 
sfogarmi 
attraverso dei pezzi di carta 
e tu non me lo permetti più 
Capisci quanto in realtà io possa odiarti?
Mi fai schifo, mi fai pena 
e vorrei poterti urlare contro 
ogni cosa che penso su di te, 
vorrei poterti urlare quanto ci son stata male 
quanto dolore hai causato al mio corpo 
alla mia anima 
vorrei urlarti di dare risposte, segnali 
urlarti di sbattere una porta mai chiusa, 
urlarti di prenderti le tue responsabilità. 
Vorrei poterlo fare, ma mi hai lasciata senza voce. 
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lunedì 23 gennaio 2017

Immortale perché..

E' inutile continuare a mentire. Medicina, filosofia, psicologia. Cazzate. Sono solo grandi cazzate.
Io voglio vivere di libri, voglio soltanto vivere scrivendo, sommersa di parole. Ho solo bisogno che qualcuno mi dica "puoi scrivere di noi", ho solo bisogno di una musa; forse però, questa musa è già nella mia vita, l'ho già conosciuta, ma lui non lo sa.
Scriverei solo per renderti immortale. Si dice che se fai innamorare uno scrittore, diventerai immortale. Beatrice è immortale e lo rimarrà per sempre, voglio dire, Dante le ha dedicato un libro che, dopo la bibbia, è il più famoso al mondo.
Praticamente sto dicendo che l'unica cosa che mi può rendere felice, viva, sei tu. E neanche lo sai.
Ti scriverei un sacco di poesie, quelle poesie che ti fanno sorridere e che ti fanno pensare che l'unica verità nella vita è che tutti abbiamo bisogno di un amore eterno, saresti la persona a cui tutti si ispireranno, come tutti vedono in Mr. Darcy l'uomo perfetto. Vivrei con te tutte le "prime volte", anche se per te così prime non sono. Ti farei sciogliere e ci divertiremmo come matti, ci sdraieremmo sulle strisce pedonali in pieno inverno e non avremmo bisogno di alcol né di droghe per vivere i nostri tempi. Ti amerei incondizionatamente e non passerei con te tutto il tempo della mia vita, ma alla sera ti racconterei tutto e tu faresti lo stesso. Mi racconteresti dei tuoi strani sogni e delle tue impressioni sulla gente, guarderemmo i film parlando al cellulare, da un posto all'altro, e litigheremmo per il finale incomprensibile. Litigheremmo, litigheremmo e continueremo a litigare e scriverei anche di ciò, piena di rabbia, ma troveremmo sempre il modo di far la pace e tornare più uniti di prima. E nelle mie poesie, rinnegherò ogni brutta parola che ti avevo dedicato. Si sa, gli scrittori non pensano mai davvero quello che scrivono.
Ci saremmo divertiti, avremmo vissuto una storia che ci avrebbe consumato, un amore folle, che ci avrebbe logorato dentro e si sa, saremmo arrivati finiti, distrutti, battuti da un amore così. Sarebbe finita e avremmo sofferto e non ci saremmo mai più dimenticati di un amore di questo genere, perché avremmo amato incondizionatamente, senza limiti, e sarebbe stato giusto così. Se solo ti avessi conosciuto.
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sabato 7 gennaio 2017

voglio te, e dico sul serio.

Vorrei essere invisibile. Vorrei poterti osservare ogni ora del giorno; vorrei sapere chi guardi di nascosto a ricreazione e se ogni tanto, almeno di sfuggita, pensi a me.
Vorrei conoscere la tua espressione mentre tua madre continua ad urlarti contro e voglio ragionare con te quando sei su tutte le furie. Vorrei avere il permesso di poter continuare a fissarti e vederti sorridere, quando ti accorgi del mio sguardo puntato fisso su di te. Voglio poterti amare incondizionatamente e voglio che tu mi ami allo stesso modo. Voglio vivere ogni secondo della mia vita pensando di aver vissuto quel secondo nel miglior modo possibile, e possibilmente con te.
Voglio uscire, incontrare e flirtare con i ragazzi più carini del paese e poi tornare a casa a trovare te che mi parli di quanto sei geloso, e voglio arrabbiarmi,voglio urlare, voglio litigare e poi voglio far pace, perché dopo la guerra si torna sempre più in pace.
Voglio svegliarmi con te e condividere il bagno, magari mentre mi sto truccando.
Voglio che ti senta libero di potermi parlare di qualsiasi cosa, anche del culo della ragazza che è appena passata. Voglio davvero tutto questo, voglio la relazione di due migliori amici che possono baciarsi e amoreggiare quanto vogliono. Voglio te ed ogni tuo difetto, voglio sapere chi sei e voglio poter sapere le stronzate più inutili di te che infondo così inutili non sono.
Voglio te, e dico sul serio. Ma tu quanto vuoi me?
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con gli occhi di un adolescente.




"Dimentichiamo cosa significa avere quindici anni non appena ne compiamo sedici. Ignoriamo un qualcosa che ci fa star bene fin quando non ce lo portano via. Ignoriamo la serenità del luogo in cui viviamo fin quando non lo abbandoniamo. Non conosciamo felicità perché non ci accorgiamo neanche che ci passa davanti e la spazziamo via,proprio come se fosse polvere."


20 dicembre 2020. Dovrei essere a casa, a Corigliano. Vorrei essere lì, con i miei vecchi amici ed invece sono qui. New York è bellissima anche con la pioggia, soprattutto con la gente che corre in qualsiasi direzione per ripararsi da essa. Io mi sono sempre chiesta perché dovevo smettere di giocare con i miei amici quando pioveva, forse perché rischiavamo di ammalarci, ma l’ammalarsi è solo l’effetto negativo di un piccolo istante di felicità. 
Avete mai provato a rimanere lì fermi sotto la pioggia? È l’esperienza più bella del mondo. Ti senti libero. Non capisco perché tutti odiano la pioggia, dovreste provare ad amarla, è molto meglio amarla che odiarla una creatura del genere, anche lei ha dei sentimenti.
Dovrei smetterla di perdermi in questi futili pensieri; sono una scrittrice, è vero, ma questo non mi autorizza a divagare. Tornando a noi: cosa prenderò a Davide? Sono sicura che anche lui vorrebbe tornare  a casa. Non mi piace chiamarla "casa", è da un po' di tempo che mi gironzola in testa che l’unica struttura di cui devo aver bisogno è il mio corpo. Davide mi aspetta al nostro appartamento. Dovrei scegliere la mia facoltà, prendere in mano il mio futuro, ma ho così tante idee in testa. Vorrei chiamare mamma e chiederle se ha finito di leggere il mio libro, Carmen sarà alla sua ultima lezione prima delle vacanze; Giusy invece potrebbe essere in qualsiasi parte del mondo. Piove ancora, avranno letto il mio libro? Pensano mai a me?
Piove, e piove sempre di più, mi affretto a tornare a casa. Quando avevo quindici anni il mio unico pensiero era quello di apparire sempre spensierata, di apparire senza nessun dramma adolescenziale, come una ragazzina perfetta che ha tutto sotto controllo. Pensavo persino di non dover cambiare, di rimanere la me di quindici anni per sempre. Beh, guarda un po', sono cambiata, disperata, indecisa e nervosa e non m'interessa che la gente lo noti. La me di un tempo era triste squallida, la me di oggi è ancora più triste, ma teatrale.
Il mio migliore amico mi aspetta per mangiare la pizza "senza mozzarella" della Grande Mela, neanche ricordo più il sapore di quella pizza filante che mangiavamo insieme alla due del mattino per passare il tempo. Qui abbiamo la metropolitana, ma è sempre meglio prendere un taxi. Chiamo Davide, gli dico che sto per arrivare e lo sento borbottare:odia quando arrivò in ritardo. É una persona fantastica, mi conosce meglio di chiunque altro ed è per questo che non voglio tornare a casa, incrociare il suo sguardo: capirebbe che vorrei tornare a Corigliano e io capirei che vorrebbe farlo anche lui. Sono arrivata, pagare il taxi qui a New York é l'unica cosa che posso definire "routine" ed è triste perché a me piace vivere nella monotonia: ti fa sentire sicura, sai sempre dove andare, qui a New York invece non so mai quale sia la mia meta, il mio scopo, qual è il mio obiettivo e perciò cammino a vuoto. Appena entro in casa trovo Davide seduto sul nostro divano con un pezzo di pizza in mano, i piedi su ciò che è rimasto del tavolino e addosso solo un paio di boxer. Davide è il mio migliore amico, ma a volte credo dimentichi le notti passate insieme, i baci, le coccole e trovarlo così non va per niente bene...
Si gira appena percepisce la mia presenza e mi fa uno dei suoi soliti sorrisi. Tolgo via il cappotto e sento il calore provenire da ogni parte in questa casa. Davide esagera sempre un po' troppo d'inverno, "non siamo abituati a questo freddo polare" dice sempre. Vado a sedermi vicino a lui e mi accoccolo sulla sua spalla nuda.
-Ha chiamato Ida prima,- ha detto.
Lei si che ha preso in mano il suo futuro, le ho sempre detto che un giorno avrebbe insegnato al Conservatorio, e così è stato. Davide poi prende una scatola: sono le foto di quando avevo quindici anni. Iniziamo a sfogliarle e sento davvero il bisogno di riabbracciarle tutte, le mie amiche. Prendo in mano la prima: ci siamo io e Davide e dietro di noi ci sono Carmen e Giusy che ci prendono in giro. Quella foto mi fa tornare in volto un sorriso amaro: ho adorato quei momenti di felice spensieratezza, ma desidero tornare indietro nel tempo: la me in quella foto non desiderava altro che essere la me di ora-magari non m'immaginavo proprio così, ma sono comunque cresciuta- ed ora io non desidero altro che tornare ad essere lei. Non sembro io, anzi no, quella non sono io. I capelli, lo sguardo, il sorriso, gli atteggiamenti sono cambiati, è tutto cambiato. Persino il mio rapporto con Davide è cambiato.
Passo avanti prima di scoppiare in un pianto isterico. Qui ci siamo tutte, è una foto della nostra prima pizza di classe:i capelli rossi di Siria, i wurstel di Alessandra e Giusy; ricordi che non potranno mai essere chiusi in una scatola, conservata accuratamente fra i libri del liceo. Così decido che non ne avrei sfogliate di altre ma quando abbasso lo sguardo scoppio a ridere: qui, invece, ci siamo io, Siria e Lisa. Quante cavolate abbiamo fatto insieme; la mia prima ed ultima "canna"; mi sono sentita davvero male ma allo stesso tempo ricordo di aver passato le due ore più divertenti della mia vita: non so dove trovai il coraggio per farle, in realtà, ma le ho fatte e di questo ne sono veramente grata.
Metto giù la scatola: non ho bisogno di stupide foto per capire quanto preziosi siano stati quei momenti e anche se non mi riconosco in quella ragazza che si spaccia per me, sono sempre io e riconosco il fatto che sia importante avere degli amici su cui contare. Non c'è bisogno di foto per ricordare le chiacchere e i mille sotterfugi.
Mi passano per la mente i miei vecchi prof,chissà cosa staranno facendo ora. Saranno a casa davanti al camino con i propri figli, li osserveranno crescere, proprio come hanno visto crescere noi.
È la prima volta che Davide dimentica il mio compleanno e la cosa mi da un po' fastidio ma bussano alla porta e questo mi distrae; mente io vado ad aprire, Davide corre a mettersi qualcosa addosso.
Quando apro sono tutte lì, dalla prima all'ultima, non sono cambiate per niente, le solite chiacchierone.
-Passavamo da New York e ci siamo ricordate del tuo compleanno!- dice Siria ridendo. Non vorrei scoppiare a piangere, ma non resisto: ci abbracciamo mentre Davide scatta una foto:
-Buon compleanno!- mi dice sorridendo.
Questa è vita. Le amicizie sono ciò che ci rendono vivi, abbiamo bisogno di sapere che vicino a noi ci sono persone che si ricordano chi siamo, che non siamo soli anche se ci sono migliaia di kilometri a dividerci. Persone che ti vogliono bene, che ci tengono a te, non vorrei mai perderle.
-beh, è arrivato il momento di un autografo, cara scrittrice professionista!- dicono tutte in coro.
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chissà se amare è una cosa vera.


"Non succede quasi mai a due come noi
di credere che sia possibile trovare
Un complice in questo disordine
Tracciare un’orbita nell’atmosfera
Amore mio la logica non è sincera
Chissà se amare è una cosa vera”      -Cesare Cremonini, Logico

Questa è una lettera che non avrà destinatario, né mittente. È un lettera, senza scopo. 
E parto dicendo che nessuno vuole inventare nuovi concetti, apparire come lo scrittore o la scrittrice del secolo: non posso scrivere per inventare qualcosa di nuovo, scrivo per riempirmi di parole, per stare bene con la cosa più preziosa che abbiamo. Anche se Pirandello diceva che è impossibile comprenderci con le parole, a volte penso che sia anche l’unico modo per comunicare. 
Sotto ogni forma, le parole aiutano. Di tanto in tanto. 
Cara te, potrò sembrare sdolcinata o rimbecillita a scrivere del mio primo vero amore, ma adesso, in un’altra città, senza notizie di lui, mi sento persa e ricordarlo mi fa sentire bene. 
Ricordo di aver odiato quel periodo: la mia scuola era un disastro, avevo una cotta per un ragazzo di cui ignoravo persino il nome e non ero invogliata a far niente. 
Mai come quella volta ho creduto che tutto potesse cambiare. Mai ho creduto ai cambiamenti, prima di quell’estate. 
Io mi alzavo, andavo a scuola e l’unico motivo per cui ci andavo era che, ogni mattina, quel ragazzo mi aspettava all’entrata. Ogni mattina era lì sul cancello, quasi nascosto dall’ombra del ciliegio della scuola, ma non appena scendevo dall’auto spegneva la sigaretta con la suola delle scarpe e andava via. 
Molte volte pensai che avrei dovuto affrontarlo, ma qualcosa nel suo volto mi faceva capire che a lui tutto quello stava bene, qualcosa di lui mi faceva capire che quegli sguardi gli bastavano, che quello strano filo sottilissimo che c’era fra me e lui era tutto quello che potevamo avere. E così, per quanto potessi odiare la mia scuola, aspettavo impaziente i quindici minuti di ricreazione per rincorrere con lo sguardo una persona che era indifferente al resto del mondo. 
Comunque sia, andiamo avanti veloce e facciamo una piccola sintesi: restai in quella scuola per un intero anno per capire che quello non era esattamente ciò che volevo. Insomma, una ragazzina con il sogno di diventare avvocato non poteva starsene lì con le mani in mano solo perché un altrettanto ragazzino dagli occhi azzurri aspettava il suo arrivo per non rivolgergli mai neanche la parola. 
Non ero sicura di voler abbandonare la mia carriera per uno stupido ragazzo. Cambiai ambiente appena arrivò l’estate. Non ero molto brava con la gente a quell’età, in realtà non ero brava a far nulla. Ero giustificata, però, nella mia testa, dalla mia timidezza e dall’adolescenza in sé. Ero un fiore in evoluzione, giusto? Ero giustificata sotto ogni punto di vista e si, mi cullavo molto su questo. Ero anche molto pigra perciò mia madre continuò ad insistere con questa strana idea di partecipare come animatore all’estate ragazzi, l’idea, però, da quanto io ricorda, non mi fece impazzire. Non reagì per niente bene, in realtà. Ho odiato quel posto per, diciamo trentacinque minuti: il tempo di ambientarmi. 
Anche qui andiamo avanti veloce: in poche parole mi ritrovai in un ambiente completamente nuovo, con gente nuova e pensieri a me del tutto differenti da quelli che credevo di avere fino a poco tempo prima. Arrivai a Righio (un sorta di vacanza “spirituale”) con l’obiettivo di non pensare più a quel ragazzo. Alessandro, scoprì anche il nome. Volevo schiarirmi i pensieri in quel magnifico posto. 

Il mondo è composto da sette miliardi di persone e, davvero, siamo la feccia della feccia. Bisogna dirlo. 
Nell’intero universo non valiamo nulla: siamo solo dei punti dispersi nel vuoto. Punti. 
Non mi piacciono i punti, mettono una fine. Nella vita, mai nessuno usa i punti, qualche volta le virgole, di rado si vedono punti e virgola, molto spesso vedremo punti interrogativi, ma punti mai. 
Se la storia della mia vita dovesse essere composta dalla punteggiatura, credo che sarebbe ricoperta da punti di domanda e qualche virgola di rado. Il punto e virgola e il punto per me non esistono.
Come ho detto, quello era un posto che portava a riflettere. E io riflettevo, in tutta tranquillità. Ricordo di aver pensato che lì potevo abbandonarmi a me stessa, potevo lasciarmi andare e dimenticare Alessandro. Iniziava per me una disintossicazione dal mondo mondano e privo di senso. 
Ricordo che il primo giorno mi misi a sedere lì al ruscello, credevo che quell’acqua parlasse: raccontava dei desideri della gente, raccontava dei baci che ha visto, raccontava dei solitari che venivano qui a scrivere, i poeti e musicisti a comporre. Credevo di essere pazza, ma Pirandello mi ha sempre insegnato a non aver paura della follia. L’ho sempre vista, in realtà, come una dote che non molti hanno. Non mi credo speciale per questo, ne vorrei esserlo. Ma mi piace. Così mi mettevo lì seduta a pensare alla vita del ruscello: lui è calmo e allo stesso tempo devastato, non ha idea di chi stia per arrivare ma è comunque pronto a percepire la sua storia, buona o cattiva che sia; il ruscello forse aspettava qualcuno disposto ad ascoltare, forse qualcuno prima di me lo ha sentito parlare, mormorare, fischiettare. Mi stesi lì vicino, ancora intenta ad ascoltarlo parlare. E lui continuava, non smetteva mai di raccontarmi di tutte le persone che erano state li, ma mai accennò a qualcuno che ascoltò lui, tutti avevano solo bisogno di sfogarsi e nessuno credeva che potesse farlo anche lui. O peggio, nessuno pensava che ne avesse diritto. E cosi continuò e continuò e anche se era tarda notte e quasi non respiravo più dal freddo rimasi lì ancora, ma poi il ruscello smise di parlarmi. 
-fa freddo. Hai bisogno di una felpa?
Pensai che il ruscello si fosse offeso, o forse era solo timido. 
Non riuscì a capire chi fosse, il buio non mi permetteva di vedere nessun lineamento di quella figura. 
-hai interrotto il ruscello. 
O forse pensava di poterlo annoiare con le sue storie. Oh, ruscello, dai, chi mai potrebbe annoiarsi ascoltandoti? 
Avevo detto davvero una cosa molto stupida, non volevo apparire già come quella strana. Mi ero appena presentata a tutti come una normale ragazza di quindici anni che non parla con l’acqua. Ma questa era davvero speciale, ecco la mia scusa. Ero sempre pronta a trovarne una.  
Poi, quando l’anonimo si avvicinò, riconobbi Francesco. Siamo riusciti a scambiare qualche parola appena arrivati, quando mi resi conto di non aver portato gli indumenti adatti a cinque giorni in montagna. 
Capì della felpa e, solo per un secondo, immaginai Alessandro al posto suo, Alessandro che mi porgeva la sua felpa che profumava solo di Alessandro. Scacciai via quel pensiero e tornai nella realtà dove Francesco mi porgeva la sua felpa blu, la presi e lo ringraziai. Poi, quando gli animatori vennero a chiamarci per la buonanotte di gruppo, tornammo alla casa insieme. 
-perché mai avrei dovuto interrompere il ruscello? 
-nulla di speciale, solo un’affermazione stupida. 
Qualcosa in quel ragazzo mi tranquillizzava, forse erano le sue labbra carnose che si, mi mettevano a disagio ma, più le muoveva, più mi sembrava di esserne ipnotizzata, quasi come se ne fossi dipendete. 
Poi, quando arrivai in stanza, riuscivo a sentire il forte odore di Francesco provenire dalla sua felpa e ricordo di aver sorriso perché non era per niente simile al profumo di Alessandro. 
Il giorno dopo ricordo che ci furono assegnati i “lavori” da svolgere. Io ero in squadra con Francesco e altre persone (di cui ora non ricordo, non giudicatemi, è passato molto tempo) e indovinate un po’: i bagni, mi toccò pulire i bagni. Mi arresi a quell’idea e andai nel bagno dei ragazzi di sotto a prendere la roba. Quel giorno, devo dire, è stato uno dei più belli lì a Righio perché mi divertì molto, ecco perché sto a raccontarvi questo piccolo ed insignificante aneddoto. Tornando a noi, bussai alla porta e proprio Francesco mi disse di entrare, ma quando lo feci lo trovai in boxer (che erano a righe nere e bianche), scoppiai a ridere e mi scusai con lui, facendo finta di non notare né il mio né il suo di imbarazzo. 
-pensavo che fosse Danilo, scusami. 
Risi così tanto che ancora ora ho mal di pancia. Adesso eravamo strani entrambi: lui mi avevo visto conversare con il ruscello ed io in boxer. 
Comunque arrivò presto il momento dei “segreti”, le solite attività salesiane. Per ore sarei rimasta ad ascoltare Francesco che mi raccontava del suo stranissimo sogno, ma questo non poteva durare per sempre ed io non avevo voglia di parlare. Non ne avevo mai così tanta. 
Credo che a lui tutto questo piaceva, forse il silenzio lo metteva a suo agio. Così si stese e aspettò che copiassi le sue azioni. Mi sdraiai vicino a lui e senza pensarci riuscì a togliermi di bocca qualche parola e qualche sorriso per le sue battute squallide. Sorrideva e il mondo sembrava sorridere appresso a lui. La sua gentilezza mi allontanava sempre di più da Alessandro. E, per quei due giorni, ho creduto di averlo lasciato a casa. Alessandro era rimasto in città, mentre Francesco era lì con me ad ammirare quella meraviglia di posto che molti ignoravano. Francesco era riuscito a colorare quelle due lunghe e piacevoli giornate. 
-ho provato ad ascoltare il ruscello. 
Disse dopo qualche minuto di assoluto silenzio. 
-ah, sì? 
-forse l’ho anche sentito, mi ha raccontato una storia, ma poi credo si sia scocciato. 
-quale storia ti ha raccontato? 
Il ruscello non si sarebbe mai scocciato, forse era solo troppo stanco per aver parlato così a lungo, forse non si fidava di Francesco, ma non era scocciato. 
-mi ha parlato di un uomo che, pensando di essersi perso nei beni terrestri di questo mondo, trovò questo posto e pian piano riuscì ad apprendere il ruscello sempre meglio, allontanandosi sempre di più dai beni materiali. 
Il ruscello non mi aveva parlato di quest’uomo. Forse sapeva che lo avrebbe fatto Francesco. 
Apparirà anche strano dare una vita ad un ruscello, o ad un libro o a qualsiasi altra cosa, ma credo che se la meritino. Tutti hanno bisogno di sentirsi vivi. Soprattutto quando tutti la ignorano. 
Tornai a parlare con Francesco del ruscello. 
-perché gli altri non lo sentono? 
-forse perché non sono davvero interessati a farlo. 
Forse aveva ragione. Semplicemente, non erano molti interessanti a farlo. 
-è una cosa molto egoista. Tutta quella gente va lì e il ruscello ascolta loro senza fiatare, ma quando è il ruscello a voler parlare nessuno lo ascolta.
 Sorrise proprio in quel momento, era dolce da parte sua. Lo ricordo così bene quel sorriso, perfetto sotto ogni punto di vista. Non era perfetto solo perché forse, e sottolineo forse, mi stavo innamorando di lui, ma lo era perché nessun altro aggettivo poteva descrivere le sue labbra: andava a crearsi, solo quando sorrideva, un sottile taglio che divideva in parti completamente uguali il labbro inferiore roseo e pronunciato, il labbro superiore, invece, è meno pronunciato e perfettamente delineato, un po’ più scuro del labbro inferiore e va a creare due piccoli angoli che neanche si notano, ma io adoravo farlo. Era la cosa che più mi piaceva del suo sorriso.
Comunque, andando avanti, passiamo direttamente al quarto giorno e si, quello fu davvero il migliore. Il migliore in assoluto. Adoro ricordare quella sera.
Dovete sapere che ciò che stupisce ogni persona a Righio è il cielo: non esiste neanche un millimetro di blu, è così pieno di stelle da non sembrare notte. È lì che ti rendi conto che è davvero impossibile contare le stelle. Sotto quel cielo era tutto così stupendo, tutto così perfetto ed essere sdraiata lì sotto quella cascata di stelle con Francesco mi fece capire quanto ero libera di scegliere cosa farne della mia vita. Vidi una stella cadente.
-dovresti esprimere un desiderio.
Ricordo che quando dissi questa frase a Francesco andando ad interrompere quel perfetto e per niente imbarazzante silenzio, lui sorrise come se questo si fosse già espresso. Sorrisi anch’io e mi girai di nuovo verso il cielo.
Libera. Dalla città a volte si può dimenticare di dare un occhiata al cielo e questo mette in moto un modo di pensare per niente salutare. In città c’è chi va a lavoro, chi a scuola, chi dalla famiglia, chi ad un appuntamento, chi all’aeroporto ma il punto è che tutti, nessuno escluso, corrono, vanno di fretta e questo li porta ad essere violenti, stressati, malati. Il cielo, le stelle ti ricordano che c’è sempre una via d’uscita, un modo per calmarsi, una seconda possibilità. Le stelle quella notte mi avevano fatto capire che dovevo cambiare assolutamente scuola. Tornai a Francesco.
-è vero che ti piace un ragazzo?
Rimasi turbata. Sotto un cielo così perfetto l’unica cosa che voleva sapere era se mi piaceva qualcuno?
Avrei anche risposto, se solo avessi avuto una risposta. Alessandro. Non pensavo a lui da più di 48 ore, non credo che mi piacesse davvero. Ero solo spaventata. Il fatto che Alessandro non piacesse, nella mia testa, dava più spazio a Francesco. Non ero sicura di volerlo fare accadere. 
Ero sicura però che anche a Francesco piacesse qualcuna. Ci sono alcune sicurezze che a volte ti sconcertano, delle sicurezze che ritenevi tali ma alla prima occasione queste si tirano indietro. 
Fu proprio quello il momento più bello della nostra quasi relazione: Francesco mi vide a disagio, nervosa, molto più immersa nei miei pensieri del solito e, anche se continuò a ripetermi per anni che quel gesto lo fece solo per tranquillizzarmi, ci striassimo le mani uno nell’altra in un gesto che non fu per niente rapido ed indolore ma lentissimo e pieno di significati. 
Fu davvero strano perché nella mia testa c’era un ragazzo che stava man mano scomparendo, e se fosse stato proprio Francesco la causa di ciò? 

Ritornai nella mia caotica città con più domande di prima, più dubbi di quanti già ne avessi, ed il clima che mi circondava non era uno dei migliori; proprio per questo quando mi saltò in mente di cambiare scuola, afferrai quell’idea con gli artigli e non me la feci scappare. 
Era da così tanto tempo che non mi sentivo sicura di qualcosa che mi catapultai su quell’unica sicurezza e studiai per un’intera estate solo per quella mia -all’inizio- stupida idea. 
Nel frattempo, Francesco rimase molto vicino a me anche perché ormai era praticamente impossibile evitarsi dato che frequentavamo gli stessi posti. 
Ricordo che i primi nomignoli che ci assegnammo furono “piccola” e “piccolo”. 
E per quanto potessi volergli bene, in quel momento tutta me stessa era concentrata in qualcosa che non era lui e anche quando mi rivelò di piacergli decidemmo di rimanere amici, causa stessa classe per i successivi quattro anni. 
“E se ci fossimo lasciati?” continuavo a ripetermi, continuavo a dirmi che non avevo il tempo per preoccuparmi di lui. Come avrei studiato, come sarei andata avanti con la mia “carriera” se mi fossi innamorata? Ma dimenticai di non considerare l’amore tenendo conto dei miei impegni, dimenticai di ripetere a me stessa “si è mai visto un innamorato non avere tempo per amare?”
Il tempo per amare, per leggere, per scrivere (cosa che ho imparato solo ora) è tempo rubato alla vita, eppure queste stesse cose dilatano il tempo per vivere. Nessuno ti regalerà mai del tempo per queste gioie eppure nulla mi ha effettivamente impedito di cadere nella trappola dell’amore; la vera domanda però è ed è sempre stata: ”mi concedo o no questa gioia di essere lettore, amante o scrittore?”. 

Qualche mese ed avevo già dimenticato tutta la tranquillità di Righio e mi mancava il ruscello. 
Iniziò la scuola e fui davvero grata a Francesco perché mi rimase vicino, mi aiutò ad ambientarmi,  a divertirmi e soprattutto a rilassarmi. Era quello il mio punto debole: Francesco mi faceva ridere e riusciva a regalarmi momenti di quiete (per me essenziali e ormai quasi svaniti) assoluta. 
L’anno passò in fretta e il rapporto fra noi due cresceva di giorno in giorno, avevamo già dimenticato ogni cosa di Righio , ogni sguardo, ogni piccolo segno di “cotta” da parte di entrambi era accantonato negli angoli più remoti del nostro cuore. 
Il mio cervello sembrava non volersi riprendere, il mio cuore, il mio stato d’animo perenne continuava ad indicarmi una strada lineare e concisa che il mio io interiore si rifiutava di prendere. Vedevo mini omini vestiti di bianco nel mio cervello che cercavano disperatamente di fare ordine, ma era tutto un casino. E si sa, quando ci sono troppi casini, solo una cosa può farli svanire: l’amore. 

“Non t’ama chi amor ti dice ma t’ama chi guarda e tace.” William Shakespeare 
Voglio citare questa frase in questo mio piccolo racconto perché la trovo essenziale. Essenziale per capire la mentalità di un innamorato. L’innamorato è quella persona che vive solo grazie a quella persona che non la merita. L’innamorato è quella persona che per strada vive fra le nuvole e i ricordi di sguardi incompresi e mai più tirati in ballo. L’innamorato è quella persona che va in giro con le cuffiette e dimentica di dare inizio alle danze, è quella persona che dimentica lo zaino a casa prima di andare a scuola, quella persona che sembra fuori di testa, in un mondo tutto suo di unicorni e stelle cadenti, l’innamorato è chi guarda e tace. 
Quella ero io, ero io proprio il 7 aprile di quello stesso anno. Quell’anno ricordo di essere stata follemente innamorata, ma ancor di più follemente incasinata e voglio lasciarvi così, raccontandovi com’è andata a finire. 
O meglio, voglio raccontare com’è iniziata, com’è iniziata davvero. 

Non ricordo come, ne quando io e Francesco ci siamo ritrovati lì, nel letto rumoroso e distrutto di uno schifosissimo albero, —quelli delle gite, avete presente, no?— con un odore di vidal che inebriava le mie narici, a giocare al “gioco dei nasini”. Non conoscete quel gioco? Credo fosse qualcosa che conoscevamo solo noi due, quello schifo che si è soliti chiamare “smancerie di coppia”, anche se noi coppia non eravamo e coppia ormai non siamo più, ma rimarrà comunque e per sempre qualcosa di nostro. Ci, o gli —poco conta perché fu uno bello sbaglio il nostro— scappò un bacio, il primo vero bacio di entrambi. E l’imbarazzo salì alle stelle. L’imbarazzo in quel momento ci sentenziò molto, rese vulnerabili entrambi e ci complicò la vita in modo assolutamente favoloso. Dovrei ringraziarlo quell’imbarazzo, senza di esso non ricorderei nulla di quel maledetto ragazzo: non ricorderei nulla dei suoi zigomi perfetti, delle sue labbra scolpite da Michelangelo in persona, le gote rossastre, il colorito della sua pelle, il tremolio della sue mani, la sue voce bassa e rilassante (senza tralasciare, seducente), so che è stupido ma spero vivamente di non dimenticare mai le sensazioni che provavo con lui, spero di non dimenticare mai il tono della sua voce e le sfumature esatte dei suoi occhi, spero davvero con tutta me stessa di innamorarmi nel modo in cui mi sono innamorata di lui, di come mi faceva sentire, spero di trovare qualcuno che sia totalmente diverso da lui e comunque riuscire a scorgere qualcosa di lui, spero di potermi sentire avvolta da quello strano odore che solo lui aveva, spero di risvegliarmi un giorno consapevole di averlo gettato nel dimenticatoio e sentire ugualmente il suo odore vicino a me. Mi completava e non mi pesa ammetterlo. Sono andata avanti, è vero, ma lui mi completava. In tutto, lui era il mio tutto, e credo che quel tutto mi sia dimenticato di riprenderlo quando lo lasciai lì, in balia dei suoi e i miei sogni. 
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mi hanno chiesto di descrivermi.

Il mio pensiero è uniformemente affine a quello degli altri, non mi ritengo speciale, diversa, complessa: io sono io, proprio come tutti gli altri. Viviamo in una generazione in cui l’omologazione è inevitabile. Viviamo in un mondo in cui il jeans strappato è “figo” e la musica house rappresenta la normalità, non dico che mi piaccia ascoltare quel genere di musica né che mi piaccia indossare quei pantaloni, solo che col passare del tempo il mio gusto si è sempre di più affinato verso queste inclinazioni. Con questo non voglio dire che siamo tutti uguali, che ogni giovane di oggi non conosce la critica ed un proprio pensiero, dico solo che ormai tutto sembra una copia di qualcosa: ogni nostra idea è un’opinione altrui, ogni nostra vita è un'imitazione, ogni nostra passione una citazione (infatti io ora sto semplicemente citando Oscar Wilde). 
Non so parlarvi di me, non so chi io possa essere, non conosco i miei gusti e non le so dire fino a dove mi spingerei per qualcuno. So solo di essere un’adolescente e mi piace vivere come tale, troppo giovane per l’amore, troppo grande per i cartoni animati. Mi piace quest’età perché nessuno sa chi sia e tutti vivono in quella costante, triste e monotona ricerca di se stessi.
Mi piace osservare gli altri, ecco qual è il mio hobby preferito. Mi piace osservare ogni comportamento, ogni gesto, ogni smorfia. Mi piace vederli cambiare da persona a persona.
Ho paura di rimanere sola.
Non mi piace il buio, ma adoro il rumore della pioggia di notte, ne adoro l'odore d'estate.
Non mi piace l'ipocrisia e non sopporto chi parla alle spalle.

Mi piace litigare con gli altri, perché sono convinta che dopo una bella sfuriata il rapporto sia fortificato ed anche perché il litigio in se mi diverte e mi rilassa. 

Non sopporto chi scambia il mio atteggiamento per la mia personalità. La mia personalità rappresenta chi sono, il mio atteggiamento dipende da chi sei. 

Ascolto gli altri, mi piace vedere cos'hanno da dire, ma non so dare consigli.
Sono curiosa e mi piace informarmi, anche se a volte c’è qualcosa in me che mi fa pensare di non voler sapere più niente e rimanere completamente all’oscuro, ignorate nella mia monotona ignoranza.
Mi piace immaginarmi in una vita completamente diversa prima di addormentarmi e il latte senza zucchero.
Mi piace l'odore del caffè al mattino e stare sveglia fino all'alba.
Piango sempre quando guardo un film, molto spesso perché la storia è assurdamente impossibile.
Piango quando m'innervosisco ma non quando sono veramente triste.
Tendo a voler avere sempre ragione, anche se quando ci tengo sono sempre la prima a chiedere scusa e sono sempre propensa a nuove opinioni se vengono esposte con il solo intento di far conoscere la propria opinione.
Ho sempre sognato un futuro da scrittrice. Decisi un giorno che avrei fatto solo quello, e avrei vissuto scrivendo, il problema è che crescendo mi sono resa conto di non sapere di cosa scrivere, crescendo mi sono resa conto di non saper scrivere.
La musica classica mi rilassa e m'intrigano in modo esagerato la classe e la compostezza, perché tendo ad imitarla senza avere successo.
Non giudico mai gli altri prima di averli conosciuti relativamente bene, anche se dico che non mi stanno per niente simpatici.
Odio quando strizzo gli occhi e mi perdo una scena di un film per me importantissima e non dico mai di no
Sono sempre disponibile per gli altri, ma gli altri usualmente non sono disponibili per me.
Mi sento spesso esclusa e non so prendere decisioni importanti.
Sono insicura su tutto e non mi piace farmi conoscere dagli altri, per questo molto spesso nascondo la mia vera me (lo faccio da così tanto ormai che quasi ho dimenticato chi ero un tempo).
La mia più grande passione sono le parole: la loro semplicità così coinvolgente, quella musicalità che creano quando le si ascolta e quella serenità che si prova quando le si leggono.
L'ho già detto ma lo ripeto, ho paura di rimanere sola e mi piace osservare i comportamenti della gente
Quando non riesco a scrivere nulla o la mia lettura diventa lenta e noiosa la mia vita prende a scorrere su una linea pressoché inutile, ho sempre quella sensazione di essere incapace, senza speranza.
Odio quando le persona prendono alla leggera i problemi, come quando si dice di avere una "leggera depressione" perché la persona che vive con essa non sente questa leggerezza, è come definire leggero un omicidio, non posso dire che qualcuno è stato leggermente assassinato. È morto e basta.
Mi piace quando gli altri raccontano e non sono io a domandare.
A volte ho come l'impressione di non voler avere contatto con la vita che mi circonda, non scelgo di essere coinvolta, scelgo solo di descrivere, di osservare il mondo da lontano.
Mi arrabbio facilmente, ma tendo a non sfogarmi, invece di esplodere tengo tutto dentro; divento scontrosa e taciturna, voglio restare da sola, ma non così sola.
Non sopporto gli idioti, ma li sopporto.
Molti pensano di me che sia pensierosa, taciturna, riflessiva, come una poetessa, una scrittrice o una serial killer, ed è vero, anch'io penso, ma molto spesso le mie preoccupazioni non vanno al di là di un cane o della serie tv che mi sono persa lo scorso lunedì.
Il miglior modo che conosco per comunicare è rimanere in silenzio, non mi piace parlare di me e con le presentazioni faccio schifo.
Sono uno spirito libero, non sopporto che mi venga imposto qualcosa e non so mantenere la calma verso chi alza la voce e dice stupidaggini.
Odio i discorsi insensati e quel modo sgarbato di porsi agli altri.
Vorrei poter riuscire a condividere tutto con gli altri.


Un miscuglio di pregi e difetti di cui non conosco origine, ecco cosa sono: un piccolo granello di sabbia in un'intera spiaggia, una voce simile ad altre mille. 

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